Valle Caudina: Venti anni e un giorno

Redazione
Valle Caudina: Venti anni e un giorno

Valle Caudina: Venti anni e un giorno. Non è mai agevole parlare di sé, specie in un ambito strettamente riferito al mondo degli studi e della ricerca, ma pure v’è un momento in cui ci si rende conto come sia ineludibile parlare di vicende accadute in passato. Non certo uno remoto, ma neanche uno recente. Specie poi se ci si riferisce ad eventi di vasta portata culturale come quello che intendo ricordare oggi.

E lo si deve fare per quella indefettibile ricerca di verità che sempre dovrebbe governare le rotte esistenziali di chiunque, malgrado si osservi ormai chiaramente il contrario. Lo si deve fare anche per coloro che all’epoca dei fatti non erano presenti così come per quelli che c’erano ma hanno finto non esservi.

A questi ultimi, furbi ma poco astuti, è bene rammentare come il passato non lo si cancelli con le pratiche omissive o qualche sessione di wikipedia (mai avrei immaginato doverla citare, ma tant’è. O tempora, o mores!).

Non si scarabocchia il passato semplicemente negando l’evidenza e come gli imberbi far finta di nulla. Non funziona precisamente così. Non così nella civiltà di persone che ambiscano essere considerate seriamente, perlomeno.

Chiesa di San Sebastiano

E volgendo a cose decisamente più serie e qualificanti, esattamente venti anni e un giorno fa furono inaugurati i restauri della chiesa di San Sebastiano durati circa dieci anni di ininterrotto lavoro con fondi ordinari della Soprintendenza. La quale volle ammettere San Sebastiano di Moiano ai finanziamenti ordinari che solitamente sono destinati solo alle opere di restauro considerate importanti e non rimandabili.

Tutto questo, tutto quello che già al tempo fu definito da qualcuno come un «miracolo laico», fu reso possibile grazie a quello straordinario crogiuolo culturale del Tommaso Giaquinto «ritrovato». Andrea Massaro, Amerigo e Marcello Ciervo, Umberto Bile e chi scrive, era il 1993.

Ho già avuto modo di ricordare in un altro scritto tutta quella vicenda, del suo significato, di quello che ha lasciato in eredità a tutti, della responsabilità che ha investito coloro che dovrebbero provvedere al mantenimento di un luogo inaudito come la chiesa di San Sebastiano a Moiano. È sufficiente leggere, per chi ne fosse interessato.

Tommaso Giaquinto

Dopo gli anni di restauro, accurato e approfondito, eseguito dalla OMOU di Antonio Iannace, la Soprintendenza volle investirmi della responsabilità di provvedere alla inaugurazione dei restauri e della cura scientifica del volume che avrebbe dovuto presentare tutte le risultanze, invero assai cospicue, che erano nel contempo emerse sia per quanto concerne le operazioni di restauro che di quelle relative alle nuove acquisizioni dell’opera di Tommaso Giaquinto.

Per far questo fu necessario quindi pubblicare un secondo catalogo in un contesto adeguatamente qualificato per un intento di tale portata. Electa Mondadori decise di impegnare ancora una volta il proprio prestigio editoriale, dopo il 1993, per tornare sulla vicenda di Tommaso Giaquinto, «interprete originale di quel genius loci di cui è ricca l’Italia minore».

E il volume si è dunque arricchito degli scritti, tra gli altri, di Umberto Bile, che ha approfondito e ulteriormente sviluppato la riflessione sul problema stilistico di Giaquinto, e Antonio Abbatiello, con le nuove acquisizioni per quanto concerne la biografia del pittore montorese. Un volume che ancora oggi è presente in tutti i repertori di storia dell’arte internazionali, nelle biblioteche e nelle università.

Così come quello del 1993, che mi piace mostrare tra le mani del compianto Domenico De Masi in compagnia di Lina Wertmüller e Giulia Mafai. Nel contempo si ebbe modo di allestire un convegno di studi di presentazione del catalogo. Marcella Campanelli, dell’Università «Federico II» di Napoli, intervenne su Filippo Albini e la diocesi di Sant’Agata dei Goti.

Mario Alberto Pavone, dell’Università di Salerno, approfondì il tema della decorazione pittorica in ambito giordanesco tra centro e periferia nel primo Settecento. Mentre Renato Ruotolo, esperto di vaglia negli studi sul barocco napoletano, volle intrattenersi sulle confraternite tra arte e committenza.

Umberto Bile e di Giovanni Parente

Senza dimenticare, chiaramente, gli interventi di Umberto Bile e di Giovanni Parente. Per finire con quelli di Bernardino Buonanno, don Valerio Piscitelli e S.E. mons De Rosa. A costoro, senza dimenticare Michele Biscardi, va ancora oggi il mio ringraziamento per aver portato conforto e sostegno indispensabili alla realizzazione di una simile compito.

Qualche sciocco direbbe che terminato un restauro non resterebbe che profittarne della gloria, per così dire. Quale mesto e marchiano errore, e quante volte tocca vederlo ripetere, tale errore. Peraltro in riferimento a cose inesistenti.

Un restauro, per sua stessa natura è un libro che si scrive in itinere, che prende forma ogni volta che se ne presenta la necessità. Nelle forme della manutenzione ordinaria così come quella non ordinaria. È un documento sempre aperto, suscettibile di permamenti riscritture e sempre volti alla tutela del bene.

Non è corretto, ed è pericoloso, considerarlo come una sorta di eredità non confiscabile dal tempo e dalle circostanze. Chi restaura oggi avrà a maggior ragione la consapevolezza di doverlo rifare domani. In questo senso, è molto pericoloso pensare al 2003 come alla fine di un problema.

Il 2003 ha presentato la fine di un capitolo necessario, ma ne ha aperto subito un altro, non meno arduo. Dopo venti anni, infatti, iniziano a emergere le necessità di un intervento manutentivo degli apparati pittorici.

Importanza della Chiesa di San Sebastiano

La necessità di amministratori consapevoli della importanza di un luogo come la chiesa di San Sebastiano è sempre stato, tranne poche eccezioni, il più grave problema del sito durante il corso del Novecento, quando la chiesa ha purtroppo subito le sue mutilazioni più gravi e imperdonabili (di cui pure un giorno sarà necessario parlare minutamente).

E il ventennio seguito al 2003 non avrebbe sostanzialmente fatto eccezione se non fosse stato per la presenza più puntuale della Soprintendenza, e ciò non è stato in ogni caso sufficiente per evitare senz’altro tutti gli errori.

Ecco perché sarebbe di grande importanza riuscire a capire finalmente il ruolo determinante di coloro che portano la responsabilità gestionale. Capire cioè che la tutela di una bene di questo tipo non può essere delegata sempre e comunque alla Soprintendenza di turno. Il fatto è che saremmo proprio noi, ognuno di noi, a essere soprintendenza delle nostre cose.

Essere cioè vigili, attenti, scrupolosi e soprattutto fondati nella conoscenza. Senza la quale, un danno è solo una questione di tempo. La conoscenza serve proprio ad evitare facilmente conseguenze difficili. Amore e intelligenza. Non si chiede molto, tutto sommato. O forse il problema è tutto qui.

Era il 27 di settembre del 2003, venti anni e un giorno fa. E parafrasando quel che disse Giancarlo Pajetta durante i funerali di Palmiro Togliatti, si è chiusa una fase e non se n’è aperta nessun altra.

di Giacomo Porrino