43enne ucciso a colpi di fucile caricato a pallettoni

Redazione
43enne ucciso a colpi di fucile caricato a pallettoni
43enne ucciso a colpi di fucile caricato a pallettoni

43enne ucciso a colpi di fucile caricato a pallettoni. Omicidio nel Canavese: ucciso a colpi di fucile. L’impresario edile di origini albanesi residente a Math, Fatmir Ara, per tutti «Miri», 43 anni, è morto ucciso a colpi di fucile caricato a pallettoni.

Prima potrebbe anche essere pestato, ma non torturato con un coltello come si era ipotizzato a un primo esame esterno del cadavere, ritrovato nel tardo pomeriggio di sabato in un prato di località Ronchi-Ceretti, nella campagna di San Carlo Canavese.

Ecco quello che affiora dall’autopsia effettuata ieri pomeriggio dal dottor Roberto Testi. Anche la morte, molto probabilmente, è avvenuta nella stessa mattinata di venerdì quando era visto l’ultima volta dopo essere uscito di casa per andare sul cantiere, dove non è mai arrivato.

Intanto, in queste ore, continuano le indagini per cercare di risalire agli autori del delitto che, secondo gli inquirenti, sarebbero almeno due o tre persone. In queste ore i carabinieri della Compagnia di Venaria hanno sentito diverse persone, cercando anche di scandagliare nella vita privata dell’impresario edile.

Un coltello, un fucile e una pistola per uccidere Miri

Così avevamo dato la notizia. Perché Fatmir Ara detto «Miri» è stato legato ad un albero e torturato? Perché è stato picchiato, seviziato con un coltello e poi ucciso e sfigurato con diversi colpi di arma da fuoco? Contro di lui sarebbero state usate più armi, forse una pistola e un fucile.

Proseguono a ritmo serrato le indagini per smascherare gli assassini dell’impresario edile 43enne, il cui cadavere è trovato in un prato nella campagna tra San Carlo e Vauda Canavese.

L’uomo di origine albanese, che abitava a Mathi da molti anni, sarebbe ammazzato da tre o quattro persone. Almeno questo è quello che emergerebbe dai primi riscontri delle indagini dei carabinieri della compagnia di Venaria e dei medici legali dell’Asl To 4.

Interrogativi che saranno chiariti oggi dopo l’autopsia che sarà effettuata dal dottor Roberto Testi. Intanto i militari del nucleo operativo stanno analizzando i filmati ripresi da alcune telecamere di case private sistemate dai residenti per sorvegliare quel dedalo di strade che tagliano l’immensa area delle Vaude.

Ettari di brughiera e di boscaglia che, soprattutto durante la notte, diventano terra di nessuno. Impossibili da sorvegliare. Dove, negli anni, è già successo di tutto. Una Spoon River della criminalità.

Auto, corpi bruciati, e dove le forze dell’ordine hanno recuperato cumuli di refurtiva, ma anche armi e droga nascoste in mezzo alla vegetazione o sotterrate. E proprio lungo la striscia di asfalto che porta in località Ronchi-Ceretti, Ara ha incontrato i suoi assassini. Che, probabilmente conosceva o con i quali aveva avuto a che fare nell’ultimo periodo.

Secondo gli inquirenti, coordinati dalla procura di Ivrea, la vittima potrebbe anche essere attirata in una trappola a pochi minuti da casa sua, da dove era uscita per andare al lavoro venerdì mattina alle 7,30 e poi è scomparsa senza nemmeno più una telefonata alla nuova compagna dalla quale aveva avuto due figli.

Le armi utilizzate per giustiziare Ara non sono trovate e gli esperti stanno effettuando una serie di rilievi sulla macchina abbandonata a pochi metri da dove è rinvenuto il cadavere. La station wagon sarebbe di proprietà di un altro albanese che non è più reperibile da qualche settimana.

E che sarebbe estraneo al delitto. Dalla tarda serata di sabato gli investigatori non hanno mai smesso di raccogliere le testimonianze di diverse persone, conoscenti e amici di «Miri» per cercare di ricostruire i suoi spostamenti e, soprattutto, per capire la sua rete di relazioni.

Dove è ricercato il movente? Nel suo lavoro di impresario o nell’ambito dello spaccio di cocaina? Per colpa del traffico di droga, il 43enne aveva rimediato la sua ultima condanna poco più di un anno fa.

Era ritenuto a capo di un’associazione che guadagnava almeno 700 mila euro l’anno smerciando cocaina nella zona del Ciriacese, a Torino e nella prima cintura. Insomma un discreto business realizzato da persone che, nella vita «normale» avevano un lavoro ed erano quasi tutte incensurate.

Da quello che trapela sembra che l’impresario avesse anche effettuato alcuni investimenti in zona per impegnare dei soldi. Ma queste sono tutte ipotesi all’analisi di chi sta cercando di risolvere un delitto che ha il sapore di una punizione esemplare.

Per gli inquirenti, chi ha deciso di riservare una fine così tremenda a Fatmir Ara ha anche voluto lanciare un messaggio chiaro a tutto l’ambiente che ruota intorno allo spaccio di droga.