È morto Emanuele Macaluso, storico dirigente del partito comunista

Redazione
È morto Emanuele Macaluso, storico dirigente del partito comunista
È morto Emanuele Macaluso, storico dirigente del partito comunista

È morto Emanuele Macaluso, storico dirigente del partito comunista . È morto Emanuele Macaluso. Lo storico dirigente del partito comunista italiano, memoria storica della sinistra nel nostro Paese, ci lascia a 96 anni.

Nato e cresciuto a Caltanissetta, in Sicilia, da una famiglia operaia, Macaluso aveva sfidato la mafia fin da giovanissimo, poi era entrato nel partito comunista italiano clandestino. Con lo sbarco degli americani si dedicò all’attività sindacale.

Così lo ha ricordato La Repubblica

Fino all’ultimo Emanuele Macaluso, morto stanotte a 96 anni, ha mantenuto uno sguardo curioso sul mondo. Era sorprendentemente sul pezzo. Ancora la settimana scorsa, dal letto d’ospedale, chiedeva della crisi di governo.

La politica fino all’ultimo è stata la sua dannazione. “E al giornale, che si dice?”, domandò, con un filo di voce. A Natale aveva avuto un problema al cuore, che sembrava risolto, ma la notte prima di lasciare la clinica era caduto.

Lo incoraggiai a tenere duro. “Ma cosa vuoi, ho quasi cent’anni”, rispose lapidario. Che tutto stesse per finire lo indispettiva. Aveva amato moltissimo la vita, affrontata con lo stesso gusto con cui si addenta una mela.

Ogni mattina si svegliava alle sei, leggeva il pacco di quotidiani comprati all’edicola della piazza di Testaccio, quindi, dopo la passeggiata sul Lungotevere, dettava all’ex giornalista dell’Unità Sergio Sergi il commento scritto a mano sul tavolo della cucina.

Sergi lo postava materialmente sulla pagina Facebook Em.Ma in corsivo. Una rubrica di successo. A Macaluso però non importavano i riscontri. Non aveva nemmeno un computer. “Se non scrivo i miei pensieri mi sento morire”, mi raccontò una volta, seduto nel salotto del piccolo appartamento ingombro di libri.

Un politico che non scrive è un politico dimezzato

“Togliatti una volta mi spiegò: un uomo politico che non scrive è un politico dimezzato”. Il primo pezzo uscì nel 1942 sull’Unità allora clandestina: una denuncia delle condizioni di lavoro degli zolfatari nisseni. Macaluso aveva 18 anni.

Eppure, nel finale di stagione, avrebbe potuto soprattutto voltarsi indietro. Parlare solo del passato. Aveva attraversato il Novecento come dentro a un romanzo. Grandi responsabilità pubbliche sin da giovanissimo.

Capo della Cgil siciliana a 23 anni, leader dei deputati regionali del Pci a 28, con cui ideò la controversa operazione Milazzo, parlamentare per sette legislature, direttore dell’Unità, amico personale di Napolitano, Berlinguer, Guttuso, Sciascia, Di Vittorio.

A sedici anni scampò per miracolo alla tubercolosi. Negli anni Quaranta finì in carcere per adulterio. Nel 1960 fu latitante per otto mesi in un casolare del Modenese perché per la legge di allora i figli avuti da Lina, “donna già sposata”, non potevano essere i suoi, dopo una denuncia della Dc, che pensava così di metterlo fuorigioco.

Grandi amori, ma anche dolori terribili. Una sua compagna, nel 1966, si uccise dopo che lui l’aveva lasciata. Un figlio, Pompeo, è deceduto a 65 anni, all’improvviso, per un ictus, cinque anni fa. In quei mesi Emanuele smise di scrivere.

Generazione fatta col filo e col ferro

Era espressione di una generazione fatta col filo e col ferro, forgiata nelle lotte sociali sul campo. Ha mai avuto paura di morire? “Qualche volta. Con Girolamo Li Causi nel settembre 1944 andammo a Villalba, uno dei feudi della mafia, a sfidare il boss Calogero Vizzini e ci spararono addosso”.

Queste esperienze, talvolta estreme, questo suo stare sempre nel cuore della lotta civile e sociale, hanno rappresentato un deposito di conoscenze che hanno fatto di lui, in questi anni di crisi della politica, un vegliardo da interpellare spesso.

Uno strepitoso impasto di ruvida umanità e lucidità analitica. Più invecchiava e più il suo sguardo si faceva acuminato, specie sul presente. Leggeva in continuazione. Perito minerario aveva avuto sempre un complesso d’inferiorità verso la cultura.

Un gap che aveva cercato di colmare divorando letteralmente tutti i classici. Per quelli della sua generazione la politica andava nutrita di studi, di libri. Fino all’ultimo ha girato per casa con un classico in mano.