Sergio Zavoli coscienza inquieta, il ricordo di Gianni Raviele

Redazione
Sergio Zavoli coscienza inquieta, il ricordo di Gianni Raviele

Sergio Zavoli coscienza inquieta, il ricordo di Gianni Raviele. Oggi Zavoli viene sepolto, come era suo desiderio, accanto al suo fratello elettivo, Fellini. Sarà una tumulazione di carne; lo spirito era già fuso da tempo, da una vita. L’ultima volta, che incontrai Fellini, fu nella corsia dell’ospedale emiliano, dove il maestro era ricoverato per i postumi dell’ictus.

Con Fellini e Zavoli era una frequentazione quotidiana. Ogni mattina, dopo la messa in onda del GR1, diretto da Sergio e di cui ero vicario, ci si incontrava al bar Canova di piazza del Popolo e si celebrava il rito del cappuccino.

Si commentavano le notizie della notte, specie quelle americane, che noi davamo al grande regista. Fellini arrivava all’appuntamento, sempre puntuale, da via Margutta, dove abitava, fasciato dall’immancabile sciarpa rossa; Zavoli veniva da Monteporzio Catone, vestito con raffinatezza, la canizie tirata a lucido, una borsa sotto il braccio che gli dava un’aria di singolare rappresentante di commercio.

Quando lasciai Fellini nella corsia, mi strinse la mano e mi disse, alludendo con un sorriso a Zavoli, “mi saluti il pavone”. Uno scatto fotografico, degno di Cartier – Bresson, nell’analisi psicologica raffinata e, nello stesso tempo, affettuosissima dall’illustre al suo sodale.

Con Zavoli ero tornato in via del Babuino, alla radio, all’atto della scelta connessa alla riforma

Fu un fuoriclasse, Adrea Barbato, che mi voleva un gran bene, a spingermi verso Sergio, dopo anni in via Teulada. Zavoli non dimenticherà mai più la mia decisione di seguirlo, anche perché entrambi, in pratica, venivamo messi ai margini dell’informazione, basata ormai sulla Tv; la verità è che tutti e due non eravamo “ortodossi”, in linea completa con il nuovo corso.

Zavoli era sì, socialista, ma “il socialista di Dio”, cioè l’intellettuale progressista ma dubbioso, cliché dell’umanitario romagnolo, l’uomo di gusto, che non amava Casadei, ma che non capiva niente dei traffici correntizi di Manca, dell’agilità manovriera di Amato, di quella corte di “nani e ballerine” che, per dirla con Formica, si era adunata all’ombra di Craxi.

Quanto a me, mi ero gettato alle spalle, al momento dell’avvio del mestiere di giornalista, ogni appartenenza e relazione partitica. A questa linea ho sempre mantenuto fede e non ho pentimenti. Non ho debiti con nessuno.

All’atto della scelta del TG o del Gr non ebbi, perciò, santi in paradiso. Ben altri furono i custodi del Verbo, gli interpreti autentici, ancorché incolti dei nuovi potenti, gli scalatori di picchi altrimenti inaccessibili. ”Gli uccelli di bosco e di riviera”, come li definiva con me Zavoli.

Al GR1 ci trovammo di fronte Selva e il suo furore devastante. Zavoli sfuggì con consapevolezza all’imbarbarimento informativo. Fui d’accordo, anche se le nostre linee culturali non sempre combaciavano, su un’idea comunicativa moderata, aperta, dialetticamente accogliente di tutti i contributi.

Avevamo un’agenda telefonica spaventosa, che ci metteva in condizione di raggiungere anche i grandi della terra. E ricordo, a segno dell’obiettività e imparzialità di quel giornale radio, il commento che Zavoli volle dopo l’uccisione feroce dei fratelli Mattei, i due giovani fascisti bruciati vivi nella loro casa. Filippo Ceccarelli su “Repubblica” ha citato il GR1, tessendone indirettamente gli elogi.

Incontrai Zavoli per la prima volta nel ’62

Lo aveva chiamato alle radiocronache Rai Vittorio Veltroni, grande leader di radiocronisti, papà di Walter. A Veltroni, lo aveva segnalato un funzionario Rai, che aveva sentito Sergio trasmettere a Rimini da un altoparlante un incontro calcistico stracittadino con il Ravenna.

La voce: uno degli ingredienti del successo del maestro. L’aveva assunto l’allora direttore del giornale radio unico, Antonio Picone Stella. Il quale è stato sempre il cruccio di Zavoli, quando mi raccontava che Picone Stella, a suo papà che chiedeva notizie su di lui, rispose: “Ma io non so niente di questo Zavòli”, storpiandogli il cognome.

Zavoli era il primo in assoluto dell’eccezionale team delle radiocronache, che comprendeva questo Stella, Enrico Ameri, Sandro Ciotti, Paolo Valenti, Aldo Falivena, Lello Bersani e, prima donna radiocronista Pia Moretti.
Da questo gruppo era andato via il leggendario Mario Ferretti che, travolto dalla passione per l’attrice Doris Durante, era finito in miseria, era fuggito in Guatemala per i debiti e, fra l’altro, lavorava, lui l’inventore di “un uomo solo al comando” in una baracca da “tre palle, un soldo”, di un luna park di Città del Guatemala.

Di Zavoli, sapevo molto

Da giovane, avevo ascoltato più volte il famoso documentario “Clausura”, una pietra miliare nella storia della radio. L’eccezionale pagina giornalistica – per la prima volta un microfono oltre la grata di un monastero – fu realizzata a Bologna. Era il 19 novembre 1957. Il convento a via Lungo Siepe.

Alle 5 del mattino, mentre i primi tram sferragliavano, la sottopriora Suor Maria Teresa dell’Eucarestia risponde alle penetranti domande di un giornalista sulla vita, sulla morte, la innocenza monastica, la femminilità. L’interlocutrice è preparata e non si tira indietro. E’ un successo clamoroso.

Il documentario viene tradotto in diverse lingue. Vince il premio europeo per la radiofonia. Si avvale di un colonna sonora d’eccezione, firmata dall’ultimo grande compositore italiano, Ildebrando Pizzetti. Passano gli anni e la Suora scompare dalle cronache. La vita è misteriosa. La ritrovo io, mentre lavoravo con Zavoli al GR1. Ha lasciato il convento e ha avviato un’altra esperienza religiosa. Ha aperto un eremo a Spello, alle pendici del monte Subasio, la zona mistica, cara al pittore Norberto.

L’incontro con Zavoli le è rimasto come stigma infuocato. Attribuisce a quel colloquio fiumi di grazie e di conversioni. Suor Maria Teresa, che lascerà, come suora laica, anche la struttura di Spello, morirà nella Chiesa nel solco di S. Francesco.

Il testo del mio colloquio è di proprietà del Caudino

Non è l’unica volta che ho incrociato il lavoro di Zavoli come documentarista. Ho ripercorso l’itinerario che lo portò a Lambaréné dove sorgeva l’ospedale del dottor Schweitzer. Girai nel lebbrosario e nelle miserrime corsie, dove ogni graffio diventava una putrida ferita. Sergio, che aveva intervistato il missionario medico alsaziano, volle che pubblicassi il testo del servizio; gli diede il titolo “Il cuore del grande dottore”; scrisse una prefazione che è uno spaccato di carissima sensibilità e fiducia nell’uomo.

Era questa finezza d’animo il suo connotato principale. Tanti colleghi ne hanno rilevato le doti di scrittore, di fine intervistatore, di poeta, di affabulatore seducente, dall’ammaliante cadenza vocale, di sportivo. Io, invece, voglio ricordarlo come coscienza inquieta, un irrequieto che credeva, come Ernest Bloch, all’utopia dello spirito. Se vogliamo dire la verità sino in fondo, non era un grande direttore d quotidiani.

A volte, era fuori dalla notizia e dalla realtà, come quando mi chiese di collegarci con Pechino per approfondire una minutaglia di cronaca. E gli risposi, con il suo sorriso compiaciuto: “Così intervistiamo Ciu en lai” il famoso ministro degli esteri cinese. Ma, il giorno dopo, in una riunione redazionale, Sergio propose come servizio una notiziola sulla “morte degli olmi”, a dimostrazione del mutamento climatico e del paesaggio italiano.

Come documentarista e guida dei dibattiti e degli speciali era e resterà ineguagliabile

Dosava tutto nei minimi particolari; di ogni interlocutore conosceva pensiero, orientamento, tendenza. E questo senza mai una censura, una manipolazione ideologica. Bernabei lo difese al limite dell’impossibile contro Italo De Feo che voleva, per ordine di Saragat, il suo licenziamento a seguito di un servizio sul Vietnam, giudicato antiamericano.

Zavoli aveva un riguardo particolare al mondo cattolico. Seguimmo il magistero di Papa Giovanni con affetto ed ammirazione. E ci sostennero, oltre a don Loris Capovilla e Turoldo, studiosi cattolici come Alberigo o l’Arcivescovo di Ravenna, Monsignor Tonini, che – vedi caso – era il confidente spirituale di Zaccagnini ed Enzo Biagi.

Dalla luminosa carriera di Zavoli vorrei estrarre due pagine che rievoco, in modo inedito, per i lettori di questo inserto e per i giovani che vogliono avvicinarsi al giornalismo. Si riferiscono al terremoto del Belice.

Zavoli, a Gibellina, ebbe la ventura di assistere allo scavo e al salvataggio di una piccola, sepolta fra le macerie. La ribattezzò con il nome di ”Cudduredda” cioè cuoricino e questo servizio è scrittura letteraria. Il secondo pezzo si riferisce ad un oscuro anonimo soccorritore con un inizio folgorante: ”Il mio accompagnatore è il maresciallo dei carabinieri di Montevegno, un paese che, anche nel nome, è incerto e sfuggente”.

La vita, dopo un sodalizio fraterno, confidenziale e lungamente intrigante, ci allontanò negli anni dell’avvento delle private. Io tornai al TG1 e lui ascese al soglio di viale Mazzini. Non l’ho più incontrato. Ho recensito i suoi libri e, solo dieci giorni fa, gli ho scritto a via Torricelle, immaginandolo ammalato.

Forse mi risponderà in sogno: in bianco e nero, come i colori che amava per i suoi capolavori.