Valle Caudina: dopo l’otto marzo donne in soffitta

Il Caudino
Valle Caudina: dopo l’otto marzo donne in soffitta

Per quanto ormai scrivessi e ragionassi in lungo e in largo di autonomia femminile, non sapevo fare a meno del suo corpo, della sua voce, della sua intelligenza. Fu terribile confessarmelo, ma seguitavo a volerlo, lo amavo più delle mie stesse figlie… Ero incapace di essere “io” il modello di me stessa. Senza di lui non avevo più un nucleo a partire dal quale espandermi fuori dal rione e, per il mondo, ero un mucchio di detriti.” (cit. Elena Ferrante- Storia della bambina perduta).
Ed adesso che l’8 marzo, finalmente, è passato, possiamo parlare liberamente di donne. Lo facciamo citando Elena Ferrante, – suggestionati dall’affascinante ipotesi che, dietro lo pseudonimo, si possa nascondere un autore/autrice caudino/a, – perché ci sembra che la frase riportata descriva magistralmente il conflitto di ogni donna che cerca di distinguere il proprio “io” dal groviglio di sentimenti che prova chi ama. Parliamo di donne. Perciò, parliamo d’amore. Lo facciamo perché, in Valle Caudina, – o, forse, nel mondo,- non si parla abbastanza di amore.
Certo, si parla di educazione sessuale, di moralità e di pregiudizi, ma troppo poco di educazione all’amore. Non si parla, cioè, di quanto il concetto dell’amore- così come inculcato in tenera età a maschi e femmine, così come elaborato nel corso della vita- sia destinato ad incidere sulla vita delle persone.
La storia di una donna caudina è sempre una storia di amore. Da quando nasce, alla preparazione, sin dalla tenera età, del suo costosissimo corredo nunziale, di solito tanto prezioso e poco pratico, da essere perfettamente inutile. Da quando la si prepara al primo amore- (che poi, puntualmente, la trova del tutto impreparata)- a quando la si sogna in abito bianco (checché se ne dica, resta il sogno di ogni genitore…). Passando per tutte le volte che le si spiega cosa fa una “brava moglie”. Sempre, senza che nessuno possa mai spiegarle, invece, cosa sia l’amore.
L’amore non si spiega, e, forse, neppure si impara mai. L’amore è irrazionale, e, per quanto la formazione di un individuo sia adeguata, l’amore stravolge tutti i canoni. L’amore è un donarsi incondizionato che nulla vuole in cambio, che vuole solo amare. E ti svuota, a volte. E ti induce al perdono incondizionato. E, alle volte, se l’oggetto del tuo amore è privo di “educazione all’amore”, ti lascia i lividi addosso. E, qualche volta, ti uccide pure. Lo fa in modo crudelmente “democratico”, trasversalmente, quale che sia il tuo livello socio-economico e culturale.
Chi dice che, con la violenza e la sopraffazione sulle donne, l’amore non c’entri, guarda solo in una direzione: quella del maschio dominatore. L’amore c’entra, eccome, perché dietro un femminicidio c’è quasi sempre l’amore incondizionato della vittima. Ci uccidono e ci fanno del male, – cioè- perché fanno leva sulla debolezza che ci deriva dall’amare troppo.
Non dovrebbero insegnarci l’amore. Di solito, lo impariamo benissimo da noi…Dovrebbero, invece, insegnarci qual è l’amore che meritiamo di ricevere. Non di meno, ameremmo con la stessa intensità e con la stessa abnegazione, con cui siamo geneticamente portate ad amare, anche quando la nostra formazione ed il nostro livello culturale non sono in discussione.
È sin troppo difficile essere donne al Sud. In Valle Caudina, forse, è anche peggio.
L’influenza del post femminismo, combinato con i retaggi educativi tipici del posto, ha comportato che la classica tendenza alla distinzione tra “puttane e spose” si trasformasse in una altrettanto discriminatoria e stupida classificazione tra “donne deboli e donne consapevoli”. Per l’effetto, abbiamo l’onere pesante di spiegare che l’uno stato non esclude l’altro.
La verità è che siamo tutte, quasi tutte, più consapevoli. Sappiamo benissimo che esiste l’amore che uccide, ed in teoria non siamo disposte ad accettare che possa toccare proprio noi. Poi, nei fatti, per quanto istruite ed emancipate si possa essere, amiamo di quell’amore che ci espone al pericolo. E già per questo, siamo tutte deboli.
E, nel complesso, siamo talmente deboli e consapevoli insieme, da aver consapevolmente deciso che l’unica nostra debolezza debba essere nell’amare.
Fuori dall’amore, abbiamo abbandonato la dicotomia maschio-femmina; fuori dall’amore, sul lavoro, nel sociale, non vogliamo essere il sesso debole, e neanche quello forte, perché lì il sesso non c’entra proprio niente; lì, c’è bisogno solo delle mani e del cervello, e lì vogliamo essere solo esseri umani. Senza sconti, senza privilegi, senza slogan.
Forse, si sta facendo strada, molto lentamente, anche in questo posto scordato, una nuova cultura dell’essere donna, che nasconde una consapevole accettazione di se stesse, delle propruie debolezze, e del bisogno di affermarsi perché “si è brave”. Una donna caudina che combatte la sua battaglia per essere una persona, pur continuando ad amare, è una mia amica speciale.
“Tu sei la mia amica geniale, devi diventare più brava di tutti, maschi e femmine…”
È ancora Elena Ferrante, a dirlo. Ancora una volta, ha detto tutto.

Rosaria Ruggiero
gentedistratta.it