Moiano: L’oro dei liberi di Giacomo Porrino

Redazione
Moiano: L’oro dei liberi di Giacomo Porrino
Moiano: L’oro dei liberi di Giacomo Porrino

Moiano: L’oro dei liberi di Giacomo Porrino. Non occorre tornare agli anatomici fittili del santuario di Pontecagnano del IV-III secolo a. C. o a quello di Leucotea di Pyrgi del IV secolo a. C.

                                                                                                                                             La devozione popolare

Le fenomenologie della devozione popolare nel politeismo dell’Italia preromana recano evidenze che solo in tempi recenti si attestano stabilmente nella ricerca archeologica e quindi, tout court, in quella del vasto ambito disciplinare della etnografia religiosa.

Non dovrebbe essere necessario incomodare le culture antiche per capire come gli ex voto non siano una invenzione recente. E passando oltre tutto l’accattivante insieme delle ragioni che li hanno introdotti, così come molti altri aspetti, all’interno del cristianesimo, di certo sappiamo che di tesori votivi ne esistono molteplici in giro per il mondo.Di diversa natura, origine, sviluppo, significato, testimonianza, antropologia.

                                                 

Così come quello incardinato ancora oggi nella devozione alla madonna nera di Moiano, uno dei grandi centri cultuali mariani della Campania.

Tra quelli che ancora conservano connotazioni in qualche misura autentiche e interessanti ancorché poco note al grande pubblico.

Forse non tutti sanno che fino al 1595 Santa Maria di Moiano era il nome con cui le comunità caudine indicavano quello che già sul principio del XVI secolo appariva il centro di spiritualità mariana più importante, già nota per le sue facoltà taumaturghe.

A partire dal 1595 Santa Maria di Moiano assume il nome di «Madonna de’ Liberi, seu de la Misericordia». La madonna dei liberi passa a diventare successivamente il nome della piazza in cui si trovava la sua antica chiesa, che ebbi modo ormai molti anni fa di stabilire definitivamente si trovasse proprio in quel «Passaturo» dove peraltro l’aveva sempre collocata la memoria orale.

Oggi ne attesta la memoria un inedito e tuttora incognito montante di spoglio proveniente dai torcularia di una villa rustica presente in quell’area, risalente presumibilmente alla tarda età repubblicana, il quale è stato reimpiegato ancora una volta come base per un piccolo monumento a ricordo del centenario della incoronazione della madonna nera nel 2014.

                                                                  La presenza più antica

Si tratta certamente della presenza più antica finora osservabile giunta fino a noi in forma quasi anonima, stancamente poggiata fino ad allora sul margine della strada a disposizione del riposo inconsapevole dei passanti, attualmente impreziosita invece dal parcheggio di automobilisti funambolicamente esigenti.

Brandelli di strutture

Oggi di quell’antica chiesa, una volta parrocchia, non restano che brandelli di strutture forse ancora rintracciabili nelle fondazioni del caseggiato attuale. Ma non tutto è andato perduto, una traccia importante e plausibilmente significativa circa l’origine di Santa Maria di Moiano è in maniera rocambolesca giunta fino a noi, sfuggita allo sguardo di tutti sebbene presente a Moiano fino al 1980 (tornerò sull’argomento in una diversa e più opportuna occasione).

E soprattutto di questo culto così antico, tanto da non poterne individuare una possibile origine rinvenibile nelle fonti, sopravvive la sua proiezione storica nella propria dimensione visuale. I

                                                                                                                                    Etnos caudino

Il tesoro votivo della Madonna della Libera è in questo senso la sola possibilità che ci resta per accedere ai segni tangibili di una vicenda consolidata nell’etnos caudino. È un insieme di segni votivi che permette la lettura di complesse stratificazioni culturali, antropologiche, liturgiche, artistiche nel corso di almeno quattro secoli.

Ancora, non occorre evocare il puntuto Teodoreto di Cirro, il quale nel suo Graecarum affectionum curatio (Rimedio per le malattie elleniche) del 437 già informava come nei santuari dei martiri «quelli […] che lottano con qualche malattia, domandano la liberazione dalle loro sofferenze […] le loro offerte votive, che mostrano la guarigione; alcuni apportano figure di occhi, altri di piedi, altri di mani; alcuni le portano foggiate in oro, altri in legno.

                                                                                                                                        La liberazione dalle malattie

Il loro Signore accoglie infatti anche le cose piccole e a buon mercato; misura il dono secondo la capacità di colui che lo offre. Questi oggetti esposti mostrano la liberazione dalle malattie e sono stati appesi in voto come suo ricordo da parte di coloro che erano ritornati in perfette condizioni».

Durante il XVI secolo il culto per Santa Maria di Moiano è già chiaramente codificato come singolare, seguendo criteri di eccezionalità assai rari per la prassi del tempo. E singolare è anche il complesso votivo che l’accompagna, di cui è parte integrante e indissolubile.

Gioielli come ex voto

Diversamente dalle caratteristiche tipologiche dei tesori votivi di presenze cultuali più note in Campania, non sono presenti ex voto pittorici ma un sorprendente insieme di monili, gemme, oreficeria, antropomorfi in lamina d’argento, orologeria.

Un ecosistema materico che ci mostra nitidamente ciascuna delle epoche che li ha determinati, Una gigantesca fonte storica che permette l’accesso alla lettura degli oggetti individuati come mediazione divina, gli ex voto, fin dal XVII e il XVIII secolo.

Il corpo principale del tesoro è infatti ancora quello formato nel momento in cui il culto entra nella sua fase moderna. Teorie di bracciali, pendenti «a filigrana», pendenti «a fazione di Francia», pendenti «a pallucce», cerchioni «ad acini martellati», cerchioni «a filigrana», segnacoli «di cosiddette cannacche», collane, breloques, cornicelli, laccetti, girocolli, spille, anelli, crocette, catene, «maschetti», monili che formano quasi una sola epifania iconica, un tutt’uno formato dalle individualità delle storie che recano nell’oro.

                                                                                                                                       Una storia in ogni frammento

Perché noi guardiamo dell’oro, ma dovremmo avere la curiosità e la capacità di vedere una storia, in ognuno di quei frammenti. E proprio di uno tra questi, nel 1776, fu chiesto il permesso al vescovo santagatese del tempo per essere venduto al fine di contribuire alle spese di realizzazione di un altare di marmo commesso.

La madonna nera, al tempo ancora un altorilievo in monoblocco di ulivo, era stata da circa trent’anni traslata nella chiesa parrocchiale nel frattempo ricostruita dopo il disastro del terremoto del 1688.

Si pensò dunque di finanziare il nuovo altare vendendo una «gemmam ex margaritis et auro contextam» per un valore di circa 80 ducati, circa 1.400 euro di oggi, ma una gemma formata da perle incastonate nell’oro non avrebbe potuto certo finanziare il costo complessivo di un altare che solitamente sarebbe costato almeno tre volte tanto.

Sarebbe oltremodo necessario, scrivevo nel 2001, entrare nel complesso semiologico di un tesoro votivo così peculiare come questo per analizzarne in maniera ulteriore la dinamica storica in una prospettiva storiografica ancora più esaustiva.

Proprio perché una fenomenologia religiosa e cultuale così articolata nelle complessità delle vicende che l’hanno involta, necessita inevitabilmente di strumenti ulteriori. E l’analisi dell’insieme votivo della madonna nera di Moiano è uno di questi. Forse il più significativo, il più rivelatore, ma anche il più insidioso a causa della difficoltà che presenta.

Il senso0 della dimensione

E seguendo l’obbligo di una sintesi non aggirabile in questo spazio è però possibile almeno trarre un paio di frammenti che, sebbene lontani fra essi nello spazio e nel tempo, possano brevemente dare il senso della dimensione di questo argomento.

La campana per il duca di Airola

1634, Isabella de Guevara dona una campana alla chiesa di Santa Maria dei Liberi come voto «per la salute del signor duca di Airola». Ma il «signor duca» non è il marito, morto infatti nel 1622, ma il nipote Francesco, imberbe terzo duca di Airola a solo un anno di vita dopo la morte prematura del padre Ferrante.

La nonna, tutrice del minore e amministratrice del feudo, pensa di affidarne le sorti proprio a quella madonna nera la cui devozione era nitidamente avvertita come saldo riferimento nei momenti di maggiore tribolazione, evidentemente anche per quanto concerne le vicende della famiglia più agiata.

Questo ci fornisce due interessanti informazioni. La presenza di un tesoro votivo non è più solo una ipotesi ma un dato cristallizzato proprio da un ex voto importante e politicamente rilevante, che ci restituisce quella che era una percezione del culto ormai largamente diffusa ben al di là dello specifico moianese, un ricorso tanto consolidato da poterne scorgere un ulteriore segno proprio nell’indice dell’inventario degli atti della casa Caracciolo.

Quando cioè l’archivista indica non una generica donazione a una generica chiesa di Moiano, ma precisamente la donazione di una campana «alla» chiesa di Moiano. Che non si intendeva evidentemente riferita in quanto gerarchia conoscitiva alla chiesa parrocchiale così come a quella di San Sebastiano, ma proprio alla chiesa di Santa Maria di Moiano.

In ogni caso Francesco Caracciolo, terzo duca di Airola, già minato nel fisico fin dall’infanzia morirà a diciotto anni nel 1644, dieci anni dopo la donazione. E della campana s’è persa ogni traccia.

                                                                                                                                              Il terremoto del 1903

1903, un anno prima della costruzione della cappella della Madonna, oggi sede di un santuario diocesano, e due anni prima della sua consacrazione viene donato un grande cartiglio argenteo incorniciato da una composizione di gioielli.

Reca al centro una iscrizione dedicatoria, «Moiano / per la liberazione dal terremoto / 1903». Molto guardata ogni anno, poiché solitamente esposta ai piedi di quel che usualmente è chiamato «tronetto» ma in realtà un baldacchino cupoliforme processionale usato per portare in processione il tesoro al seguito della statua, e tuttavia non vista nel suo significato.

Come tutti i singoli frammenti del grande mosaico degli ex voto moianesi, anche questo è caduto in una sorta di indifferenza visuale, in questo caso la banalizzazione del quotidiano diventa calendariale, allestita involontariamente ogni anno.

I più sagaci, per così dire, hanno azzardato nel tempo ipotesi molto suggestive quali quella secondo cui questo importante ex voto sarebbe stato riferito al terremoto di Messina. Che però avverrà com’è noto solo nel 1908, un po’ troppo anche per attribuire le più ottimistiche facoltà medianiche ai moianesi del tempo.

E dunque la memoria di quale terremoto si è voluto incidere nell’argento tanto da esporlo per lungo tempo sul basamento della statua in processione?

Alle 03:44 del 4 maggio 1903 un sisma dell’intensità pari all’ottavo grado della scala MCS in uso al tempo colpisce la Valle Caudina, l’epicentro è individuato tra Forchia e Arpaia. Moiano, Paolisi e Rotondi registrano una intensità del sesto grado mentre Airola, Cervinara, Sant’Agata dei Goti registrano una intensità del quinto.

Evento dimenticato

Gravi sono i danni intorno ad Arpaia e Forchia anche se le notizie frammentarie del tempo impediscono ulteriori precisazioni. Ed è indicativo come un simile evento sia stato poi completamente dimenticato in ben meno d’un secolo al punto di convertire la sintesi visiva di un disastro che molto aveva spaventato le comunità di quel periodo in un pezzo come un altro del tesoro, un frammento di metallo prezioso in un giacimento di memoria ben più prezioso e decisivo del suo valore materiale.

Ma il valore materiale di tutto questo ha pur sempre definito una parte consistente della sua storia. Non è inutile far presente qualcosa che forse sorprenderà in molti.

Ciò che oggi viene percepito come un bene che appartiene alla storia e alla comunità che lo ha formato, che appartiene quindi anzitutto ai moianesi, è in realtà sempre stato di diritto patronato privato.

Gestito da privati con metodologie da privati che sempre nel corso del tempo ne hanno determinato non pochi elementi di criticità.

Questioni complicate ancorché affascinanti che ci porterebbero lontano dalla esigenza di sintesi di questo spazio, tuttavia questo paradosso dovrebbe poter insediarsi nella attenzione dei contemporanei.

Ciò che oggi è giustamente acquisito come un bene di tutti, amministrato pro tempore da chi ne è responsabile, è sempre stato un bene sfruttato da privati.

                                                                                                                                   Le parole del parroco

Non mancano di suggerire plasticamente questo paradosso proprio le parole di un parroco importante nella storia locale del XVIII secolo, l’airolano Tommaso Aceto, il grande fabbricatore della chiesa parrocchiale così come più o meno la vediamo oggi, quando questi ci riferisce che la cappella della madonna nera è «ornata di stucco, e con una Nicchia, ove sta riposta un assai ben antico simolacro di legno di nostra Signora fatto alla greca, essendovi ancora in detta Cappella il suo Altare di Marmo, il quale non è tenuto con quella dovuta decenza, e decoro».

E durante il corso dell’Ottocento le cose si complicano ulteriormente, le dispute serrate sulla gestione del tesoro attraversano e in qualche misura disegnano buona parte della dialettica e degli assetti del potere del tempo.

La prima commissione

Ben prima della eversione del patronato privato della Madonna della Libera, viene istituita nel 1854 una prima commissione amministrativa cui sarebbe spettato il compito di porre un ordine al sostanziale abbandono gestionale dei privati.

Nel 1877 è istituita una seconda «commissione amministrativa di Santa Maria della Libera», dopo violenti contrasti che avevano segnato la vita della precedente.

In questo contesto termina la natura privata del beneficio antico per finire incamerato nel patronato regio prima di essere destinato al fondo culto.

Uno degli indiscutibili meriti di queste commissioni è stato quello di aver introdotto il principio della trasparenza amministrativa anche riguardo un bene di natura privata.

Proprio in quel periodo infatti iniziano a essere redatti e pubblicati con regolarità i bilanci delle feste della madonna, peraltro stilati in base a criteri sorprendentemente moderni e rigorosi. Peraltro rispondendo a precise disposizioni dei vescovi del tempo.

Inventore del culto moderno

A partire dagli anni novanta del XIX secolo, don Vincenzo Mango senior, il liquidatore del secolo che terminava, l’inventore della forma moderna del culto così come oggi in qualche modo ancora lo conosciamo, intuisce la necessità di introdurre il concetto secondo cui il tesoro dovesse avere una sua sede, una sua casa permanente, definitiva.

Anche per scongiurare il pericolo cui era sottoposto per il fatto di essere fino a quel momento conservato presso privati, periodicamente trasferito e custodito con criteri che possiamo immaginare come non precisamente museologici.

Si decide dunque di stilare un inventario del tesoro nel 1878, cui ne segue un altro fatto redigere nel 1889, nell’anno in cui l’antico altorilievo diventa la statua che tutti attualmente conoscono, nel momento in cui prende avvio la fase contemporanea del culto.

Inventario del 1968

L’ultimo inventario del tesoro risale al 1968, nel momento in cui don Roberto Cesare si insedia quale parroco dopo la morte di don Vincenzo Mango junior.

Una ricognizione più che un vero inventario, poiché era evidentemente sentita l’esigenza di una aspirazione alla conoscenza più esauriente della semplice elencazione che può fornire un inventario.

Una aspirazione non estranea a don Roberto, con il quale negli ultimi tempi della sua vita ho avuto il piacere di confrontarmi e su cui sostanzialmente non si poteva che convenire.

A dire cioè della assoluta e indifferibile necessità di procedere a una catalogazione sistematica dell’intero complesso del tesoro. Un inventario presenta una elencazione nominale di parti di un insieme.

Una catalogazione ci porta invece dentro la conoscenza analitica di ciascuna di quelle parti, pezzo per pezzo, costruendo in questo modo una anagrafe di ciascun elemento di cui nessuno possa negarne l’esistenza o dimenticarne il ricordo.

Naturalmente evitando il pericolo di smarrimento o effrazioni che da sempre ha segnato la storia di questo singolare e affascinante complesso.

Tutela effettiva ed efficace

Solo una catalogazione condotta con criteri improntati al rigore scientifico e naturalmente affidata a personale qualificato può garantire una tutela effettivamente più efficace. In questo senso non è chi non veda come la conoscenza sia molto più sicura e robusta di ogni cassaforte.

E giova ricordare e ribadire, a beneficio dei distratti e dei gazzettieri un tanto al chilo, come anche un tesoro votivo sia sottoposto alla tutela dello Stato, essendo vincolato ope legis.

E ancora, di mera conseguenza, una volta effettuata una catalogazione condotta efficacemente, la direzione naturale dovrebbe essere quella della definitiva ostensione (esposizione) permanente del tesoro.

Così come peraltro già avviene altrove e con le dovute e adeguate misure di sicurezza che la tecnologia attuale è già in grado di offrire. Ciò per eludere anche il pericolo dato dalla manipolazione delle parti del tesoro che ogni anno sono spostate, maneggiate, manipolate per essere allestite nella cappella, con tutti i rischi che questa pratica mostra indubitabilmente.

Allestimenti che specie negli ultimi tempi hanno peraltro manifestato un gusto a dir meno grottesco e senza dubbio lontano dalla comprensione di che cosa sia un bene di questa natura.

L’ostensione permanente risolverebbe anche questo problema, e vi sono almeno due possibili ipotesi in tal senso su cui lavorare realisticamente e in maniera adeguata. È sufficiente solo volerlo.

Le0 vicende del culto

Della vicenda grande e fascinosa del culto di Santa Maria di Moiano si sono occupati variamente nel tempo Amerigo Ciervo e chi scrive.

                                                                                                                                                       Gli orologi del tesoro

Molto ancora di inedito e interessante sarebbe doveroso approfondire, per non tacere ad esempio della presenza dei molti orologi all’interno del tesoro.

Non semplici lasciti di qualche avventore ma i trench watches in uso all’esercito dei Stati Uniti durante la prima guerra mondiale. E chi volete abbia voluto donare alla madonna nera il misuratore del tempo della personale storia di guerra da cui era sopravvissuto?

Molto ancora avrebbe potuto raccontare Luigi Lombardi Satriani, con il quale avevo intrapreso una indimenticabile interlocuzione proprio sul culto della madonna di Moiano e che avrebbe preso forma in un grande convegno cui stavo lavorando.

Il centenario0 del 2014

Il più grande etnografo italiano avrebbe dovuto essere la parte centrale di una riflessione collettiva a più voci su questi temi così importanti, in occasione dei festeggiamenti del centenario della incoronazione della Madonna della Libera nel 2014.

Il grande studioso si era subito mostrato molto contento di recarsi fino a Moiano per presentare ai moianesi (e ai caudini) quella parte di loro che solitamente non viene vista, la visione laterale che viene da lontano, l’universo subalterno del «silenzio, la memoria e lo sguardo».

Purtroppo a causa delle intemperanze di uno sconclusionato manipolo locale di diversamente lucidi questo fondamentale evento non ha avuto luogo e si è persa la possibilità non così ricorrente di scrivere un altro capitolo importante nel diafano paesaggio culturale del luogo.

Luigi Lombardi Satriani è morto lo scorso 2022 e purtroppo non potrà più raccontare a tutti quello che ha potuto rivelarmi personalmente.

                                                                                La biblioteca del dolore

Il tesoro votivo della Madonna nera di Moiano è una grande biblioteca del dolore e della speranza in cui è possibile recarsi per leggere i volumi silenziosi scritti da generazioni. Una prolusione dell’etnos di una comunità, proiezione sinceramente ortogonale di una vicenda complessa nella sua dinamica storica e stratificata nella sua fenomenologia.

La concretizzazione materica di un’istanza prima di tutto vissuta sul piano individuale per poi essere condotta nella dimensione collettiva della sua manifestazione sensibile.

Un vocabolario di etnografia di valore eccezionale. Un atlante di geografia del sacro nella sacralità involontaria dell’ethos di una comunità.

La trasformazione di un linguaggio e la semiologia del messaggio oggettuale. L’opera anastilotica, la ricostruzione, il recupero della complessità dell’immaginario delle origini che una presenza come quella di un simile tesoro votivo ineludibilmente impone.

                                                                                                                                     Enciclopedia dei segni

Avvicinarsi al tesoro votivo di Moiano comporta anzitutto la consapevolezza di trovarsi dentro una enciclopedia di segni che restituiscono una fonte storica di primaria importanza e dai connotati originali per le comunità caudine. Una stanza degli specchi.

Le forme e il vetro di questi specchi sono stati creati durante questi ultimi secoli, ma i volti riflessi sono i nostri di oggi non meno che quelli di domani. Sarebbe il caso di tenerlo presente.

Post Scriptum

Lo scorso 20 settembre ho segnalato un danno piuttosto vistoso sul basamento della statua della madonna, dopo quattro mesi mi chiedo quanti di quelli che si dicono così tanto coinvolti dal culto della Madonna della Libera abbiano sentito la necessità di informarsi sull’accaduto, di saperne di più, di esigere spiegazioni puntuali in merito.

Tutto sommato l’oro dei liberi ci grida compostamente anche questo. La necessità indefettibile di essere liberati dalla afasia della mediocrità, dalla abitudine al tacere, dalla sete di obbedienza, dalla noia della ignoranza, dal degrado della indifferenza.

(  Le foto a colori sono di Giacomo Porrino)

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