Valle Caudina: in ricordo di un uomo buono…

Redazione
Valle Caudina: in ricordo di un uomo buono…
Valle Caudina: in ricordo di un uomo buono...

Valle Caudina: in ricordo di un uomo buono…. Mentre siamo tutti avvolti e fagocitati da questa tremenda emergenza collettiva del COVID 19 – che ha mietuto centinaia di migliaia di vittime in tutto il mondo ed ha impresso un vorticoso cambiamento al nostro abituale modus vivendi – un’altra vita si è spenta, lontano dal clamore (talvolta assordante) dei mass-media.

Mio zio Aniello Falco – nella sua amatissima Paolisi – ci ha lasciato in una strana ed uggiosa mattina di maggio; un maggio che, quest’anno, non sembra proprio avere i suoi abituali connotati floreali.

Se n’è andato, in silenzio e con discrezione, proprio come aveva trascorso un’intera esistenza. All’esterno, un cielo plumbeo sembrava partecipare al dolore di noi parenti che, attoniti ed addolorati, restavamo.

Erano anni che mio zio era stato aggredito da una congerie di patologie molto serie, le quali ne avevano minato il pur robusto fisico, costringendolo ad un’esistenza dolorosa e penosa. Soprattutto, negli ultimi tempi.

Ciononostante, l’infinita sofferenza fisica e psichica non aveva minimamente intaccato il suo bonario carattere, né lo aveva privato del suo sorriso che, come un nobile biglietto da visita, riservava a chiunque lo incontrasse. Diceva soltanto, sconsolato ma rassegnato:”La sofferenza è forte, ma non mi lamento.”

 Il 10 aprile aveva compiuto 80 anni

Il suo era stato un cursus honorum eccellente, come non se ne riscontrano spesso. Si era laureato giovanissimo, bruciando le tappe (studiando esclusivamente la notte!) in Scienze Politiche. Subito dopo, aveva partecipato a diversi concorsi vincendoli (fra questi, uno all’allora Ministero del Tesoro, dove era entrato come giovane funzionario a 28 anni).

Poi, mal digerendo le abituali beghe ed i penosi intrallazzi del potere romano, aveva partecipato ad un altro concorso all’Inps (vincendolo sempre a pieni voti), dove era transitato, lavorando prima a Cuneo, poi a Campobasso ed infine a Benevento.

Negli anni era arrivato ai vertici. Aveva scelto l’Inps perché gli consentiva di servire la gente: soprattutto per poter aiutare chi non aveva santi in paradiso.

Inoltre, l’ente di previdenza gli avrebbe consentito (grazie alle sue sedi territoriali) di tornare – con il trascorrere degli anni – nella sua amata Paolisi, dove aveva lasciato gli anziani genitori ed i suoi tanti amici, oltre che le sue perenni passioni bucoliche delle scampagnate in montagna. Ed, infatti, appena poté vi fece ritorno.

Il debutto in politica

Poi, nel 1987, il debutto in politica nelle file dell’allora Partito Repubblicano di Giovanni Spadolini e Susanna Agnelli. Pur candidandosi in un movimento quasi sconosciuto nei piccoli centri,  era riuscito a raccogliere intorno a sé la stratosferica quota di circa 4000 preferenze alla prima candidatura!

Voti dati esclusivamente ad personam, sfiorando il colpaccio dell’elezione come deputato. E pensare che, nella precedente tornata elettorale (nel 1983) proprio a Paolisi, il PRI aveva raccolto soltanto una manciata di voti. Si contavano sulle dita di una mano.

Era un idealista. E, come tutti gli idealisti, in un mondo di pescecani nuotava male e con sofferenza. Molti dei suoi compagni di partito, a livello nazionale, approfittavano della sua benevolenza. Anche economica. Lui ne era consapevole e ci rideva solo. Quando ci fu lo scandalo di tangentopoli era scioccato.

Non riusciva a credere che la politica ed il sistema di potere italiano fossero così marci. Con la sua stupefacente ingenuità (che, a volte, sconfinava nella tipica surrealità degli idealisti)  era sempre più incredulo ad ogni nefandezza.

Il vicesindaco

Successivamente, si era dedicato alla politica locale, ricoprendo per anni il ruolo di vicesindaco, fino ad un progressivo distacco, provocato sia dall’età che avanzava ma anche dalle infinite amarezze.  Difficile trovare qualcuno che non avesse beneficiato del suo infinito altruismo e della sua straordinaria generosità.

Di fronte alle cattiverie di cui è intriso il genere umano ed ai tanti voltafaccia di persone che aveva aiutato, non si scomponeva e non si amareggiava. Soleva soltanto ripetere, in modo pacato: “La riconoscenza non è di questo mondo!”.

Da nipote, ho avuto il privilegio unico di conoscerlo a fondo, di amarlo come zio e di stimarlo come uomo, apprezzando i suoi tanti valori e la sua sterminata cultura. Già ragazzino, ero letteralmente irretito dalla sua profonda erudizione.

Ricordo – con infinita nostalgia mista a mestizia – le lunghe sere d’estate trascorse insieme al mare, quando lo ascoltavo quasi con riverenza, grazie anche alla sua maestria nell’eloquio, dissertare con colti voli pindarici di “plusvalore marxista” alternato alla “crisi del petrolio”, fino ai canti omerici imparati a memoria in greco nei lontani anni del Liceo classico ad Airola.

Uno straordinario stacanovista

Sempre disponibile con tutti. Di lui mi è rimasto impresso il suo straordinario stacanovismo, durante gli anni in cui le pastoie della burocrazia erano particolarmente rigide e viscose (produttrici di lungaggini mostruose), quando si portava a casa le pratiche per evaderle (l’orario di ufficio non gli bastava) finanche a letto, di notte, fra i borbottii di mia zia che si lamentava per il suo troppo lavoro.

Replicava, come sempre pacato, che soltanto in quel modo avrebbe lenito le pene di qualche povero cristo privo di pensione da lungo tempo e senza reddito.

Era soddisfatto ed appagato soltanto quando poteva essere d’aiuto al prossimo. Era questa la migliore ricompensa per lui, seguendo il vecchio imperativo kantiano per il quale il bene  è fine a se stesso.

La sua casa era sempre aperta a parenti ed amici, con mia zia che, provetta cuoca ed amante delle arti culinarie, veniva “trascinata” dal letto alle ore più impensate, per approntare una delle sue pantagrueliche cene per le varie comitive di turno.

Il suo più grande amore? I figli

Per loro il suo nobile cuore pulsava in modo sempre accelerato e prodigo di amore. Pochi, ma veramente, pochi genitori hanno elargito ai figli ciò che ha fatto lui.

Grazie carissimo zio Aniello, per tutto quello che hai fatto e per i valori che ci hai tramandato. Ho imparato tantissimo da te. Sono convinto che, adesso, sarai in qualche luogo non molto lontano, seduto, con la tua solita pipa, battibeccando amorevolmente con mia zia che ti ha preceduto da molti anni ormai, sorridendo con la tua proverbiale bonomia delle miserie umane e, forse, stupendoti ancora delle cattiverie  terrene.

Un giorno ci rincontreremo e, sono sicuro, ci accoglierai con il tuo solito immancabile sorriso. Il sorriso di un galantuomo.

Antonio Leggiero